Zabor by Daoud Kamel

Zabor by Daoud Kamel

autore:Daoud, Kamel [Daoud, Kamel]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


* La Grande Festa, nota anche come Aïd al-Adha (festa del sacrificio), si svolge alla fine dell’haji, il pellegrinaggio alla Mecca, ed è la più importante festa islamica.

20

Cominciai a urlare al risveglio, verso l’alba. Con gli occhi sbarrati per la vista di un mostro che aveva preso la forma di tutti gli oggetti della penombra intorno a me, diventati improvvisamente duri e muniti di corna con cui, urlando la propria estraneità, mi bucavano la pelle. Stretto al seno di Hadjer, sudavo e tremavo, come abitato da uno spirito devastatore. “Colpito dal malocchio!” sentenziò in un primo momento Hadjer, per poi diffidare di qualsiasi spiegazione quando le mie crisi cominciarono a farsi più frequenti impedendomi perfino di proseguire con la scuola. Dovevo sembrarle un posseduto, per come sbavavo con la mia odiosa voce da capra, additando le cose con l’indice tremante, torcendo le parole, mischiando la lingua della scuola e la sua, più o meno deformata. Ah, che bello spettacolo! Immagino che piangesse di dispetto e di rabbia per le dicerie che si sarebbero sparse alludendo alle condizioni di suo padre Hbib.

Monsieur Safi, il mio maestro di scuola, venne a trovarmi dopo una settimana ma disse di non essere all’altezza della situazione. Consigliò a mio padre, che lo accompagnava, di consultare l’imam, più indicato per quel tipo di problemi. Mi lavarono, mi coprirono, e invitarono cortesemente El Hadj Senoussi a venire a casa nostra per darmi un’occhiata. Lui, che all’epoca era giovane ma già divertito dallo spettacolo del mondo, rispose con garbo alla richiesta e venne a prendere un tè proprio nella stanza in cui ero disteso. Mi accarezzò i capelli, recitò interi versetti e stabilì, senza dirlo, che soffrivo di abbandono anziché di possessione. Nel villaggio, la mia storia famigliare era nota come un film. L’imam mi esaminò con complicità e intelligenza, mi sorrise, poi sussurrò che il Profeta, prima di ricevere la rivelazione, aveva vissuto più o meno la mia stessa situazione, e che quindi era stato Dio ad avermi scelto. Aggiungendo una strizzata d’occhio e qualche caramella che fece scivolare sotto il mio cuscino. Questo, a dire il vero, mi rassicurò, e avrebbe potuto spingermi a vincere le mie paure, ma istintivamente capii, a mia volta, che quelle crisi mi garantivano un pubblico e un po’ di affetto. Subdolo come sanno esserlo i bambini intelligenti, decisi di sfruttarne gli effetti spettacolari e i cicli. All’improvviso, quella fragilità che mi svuotava le braccia e che per strada mi dava un’andatura bislacca assumeva un senso, e un senso temuto.

All’epoca avevo sette anni, ero in terza elementare e la mia infanzia particolare, le mie tare e i miei disturbi erano diventati una brutta leggenda che mi aveva messo in quarantena, una quarantena a volte felice. A un tratto mi ritrovavo al centro del mio mondo e bastava un gemito per dare un nuovo ordine alle attenzioni di vicine di casa, membri della mia tribù e lontane zie venute per compassione e, al contempo, per godersi vendette appena dissimulate. Per un po’



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